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Nella Tempesta

17-perini_2015-016 - Copia - CopiaIntorno al 1770 la costruzione del monastero era terminata e le monache potevano finalmente ritornare al normale ritmo di vita di un carmelo teresiano, senza l’assillo di lavori in corso con le relative preoccupazioni di ordine economico che per tanti anni, a cominciare dalla fondazione, avevano assillato la comunità. Si poteva guardare con fiducia al futuro, senza eccessive preoccupazioni.

Ma l’orizzonte non tardò a oscurarsi quando, sul finire del secolo, incominciarono a giungere dalla vicina Francia voci poco rassicuranti. Le notizie della Rivoluzione ebbero un’eco profonda nel cuore delle monache di Moncalieri per l’affetto sincero che le legava alla Principessa di Piemonte, Maria Clotilde di Borbone, sorella di Luigi XVI e sposa del Principe Carlo Emanuele, così duramente colpita dalla furia rivoluzionaria che le aveva distrutto la famiglia. Dalla Francia inoltre giungevano richieste di asilo da parte di religiose fuggitive, che furono accolte amorevolmente dalle carmelitane di Moncalieri. «I monasteri sentirono che la loro esistenza era minacciata…Il 26 febbraio 1799 una lettera della Segreteria di Stato per gli affari interni dava ordine all’Arcivescovo di notificare prontamente lo stato dei monasteri esistenti in Torino …specificando il numero delle religiose, tanto corali, quanto converse, delle persone di servizio…e le rendite e pesi del medesimo».I registri della comunità relativi all’ultimo decennio del secolo riflettono il clima di tensione e di paura in cui si viveva, le difficoltà economiche, l’incertezza per il futuro. Il 12 luglio 1799, ad esempio, nel verbale dell’ atto capitolare per l’accettazione di una novizia, si dice che la decisione del capitolo è stata ritardata di tre mesi, perché «per la rivoluzione e persecuzione de’ malvaggi briganti francesi non si poteva passar per capitolo, onde la suddetta (novizia) fu fatta entrare provvisoriamente nel monastero». Altre novizie furono accettate ancora a gennaio e a giugno del 1800, ma il 22 marzo 1801 si dichiara che suor Teresa Gertrude, terminato il periodo del noviziato, è ammessa alla Professione religiosa, «da farsi a suo tempo…per la continuazione de’ francesi nel Piemonte, non essendo sicure le religiose di restare nel monastero». La comunità fu esclaustrata verso la fine di agosto 1802. Le Carmelitane scalze di Moncalieri cercarono di trovare una soluzione per salvare il salvabile, così che quando fu emanata la legge di soppressione dei monasteri, mentre la maggior parte delle monache fu costretta a disperdersi, suor Giovanna Teresa Pautasso inoltrò domanda al Comune di Moncalieri per ottenere il permesso di aprire «nell’ex convento delle religiose Carmelitane» un «conservatorio per fanciulle», impegnandosi a pagare per i locali del monastero un affitto annuo di 220 franchi. Tommaso Chiuso, nella sua storia della Chiesa in Piemonte, informa che il vescovo di Torino, monsignor Giacinto della Torre, «promosse in Moncalieri un’associazione di Monache espulse che si erano dedicate all’educazione delle fanciulle…Impedì anche che si demolisse la chiesa delle Carmelitane di Moncalieri, e fecela ordinare a cappella per il conservatorio delle fanciulle eretto nel vicino monastero». Ma non precisa la data. Si sa tuttavia con certezza che l’autorizzazione per l’educandato fu concessa il 30 luglio 1808, come risulta da una serie di quesiti presentati alle religiose dell’ex monastero, di cui il sindaco inoltrò copia all’arcivescovo Della Torre. Le religiose…di cui si dava soltanto il nome e cognome civili, erano undici: entrate nel «Conservatorio» a partire dal 1808, erano tutte ultraquarantenni, eccetto tre trentenni. Le fanciulle, che pagavano la retta di trenta franchi mensili, erano sette…Si insegnava loro a leggere e a scrivere il francese, l’italiano, l’aritmetica e la geografia…Se le verifiche compiute sui nominativi sono corrette, suor Teresa Pautasso era l’unica ex-carmelitana tornata nel monastero…Pertanto le monache erano uscite e si erano disperse».I locali del monastero erano diventati proprietà dei demanio che li pose in vendita e il 10 settembre 1810 furono acquistati da un certo Giuseppe Dalmazzo Serralunga. Impropriamente è stato scritto che fu il Serralunga a trasformare il monastero in educandato; in realtà egli apportò trasformazioni e migliorie all’edificio per renderlo più idoneo allo scopo cui era destinato, «cangiando affatto una pulita, ma poverissima fabbrica addattata prima alle ristrettezze di venti virtuose Carmelitane Scalze, in un bellissimo ritiro capace di tutti i commmodi per un’educazione di figlie del maggior riguardo». Passato il ciclone napoleonico, i Savoia ritornarono in Piemonte e il Re avviò trattative per riacquistare il monastero dal Serralunga e donarlo alle carmelitane superstiti. Ci fu una lite per fissarne il prezzo, ma alla fine «per munificenza regia e grazioso dono dei Re di Sardegna Vittorio Emanuele I», la vita monastica fu restaurata. Non più sotto la giurisdizione dell’Ordine, ma dell’Ordinario del luogo, Mons. Colombano Chiaveroti. Nelle sue mani rinnovarono la loro Professione religiosa dieci monache provenienti dagli ex monasteri di Moncalieri: suor Teresa Margherita del Cuore di Maria suor (Giacinta Sansoldi), suor Maria Teresa del Crocifisso (Maria Margherita Raimonda Gianotti); suor Teresa Battista di Sant’Anna (Paola Francesca Genoveffa Giovanetti; suor Giovanna Teresa del SS. Sacramento (Marianna Barbara Carlotta Pautasso). Da S. Cristina in Torino: suor Maria di S. Giuseppe (Rosa Elisabetta Mandina); suor Maria degli Angeli (Anna Francesca Agosti); suor Teresa Delfina di S. Antonio (Maria Gaetana Campeggio); suor Anna Benedetta di S. Bartolomeo. Da Alessandria: suor Maria Giuseppa di Gesù (Rosalia Margherita Vittoria Mandina e suor Chiara Teresa di S. Francesco (Veronica Vercelloni). Da Benevagienna: suor Angela Teresa di S. Maria (Antonia Margherita Barberis). Il Libro dei Verbali degli Atti capitolari, interrotto il 22 marzo 1801 e ripreso il 20 marzo 1820 recita in tono solenne: «In questo giorno, per grazia del Sommo Dio, ed in nome della SS.ma Trinità Padre, Figliuolo e Spirito Santo, coll’aiuto e protezione della gloriosissima Vergine Maria del Monte Carmelo, e della nostra Santa Madre Fondatrice, e nell’anno 21 del Pontificato di Sua Santità Papa Pio Settimo, e per munificenza regia e grazioso dono del Re di Sardegna Vittorio Emanuele nostro amatissimo Sovrano, fu rinnovato, restituito e ristabilito questo nostro Monastero di S. Giuseppe della gran Madre di Dio di Moncalieri, ed in tal giorno, dopo la Benedizione Lustrale di tutto il Monastero, e restituita la clausura dall’Ill.mo e Rev. mo nostro Superiore Monsignore Arcivescovo di Torino per nome Colombano Chiaveroti, al quale, ed ai suoi Successori fu dichiarato soggetto questo nostro Monastero per Breve Pontificio e istruzione della S.a Congregazione de’ Vescovi, e Regolari dei due di settembre 1816: e dalle mani del sudetto Prelato ricevettero di bel nuovo il Sant’abito le monache già professe avanti la soppressione, e come descritte in altro Libro di questo Monastero». Lo stesso giorno furono accolte dalla comunità ricostituita due sorelle come coriste e tre in qualità di sorelle di velo bianco. Il Carmelo di Moncalieri fu l’unico dei quattro esistenti prima della soppressione napoleonica a essere ricostituito. Non si salvò neppure quello di S. Cristina di Torino, in cui erano vissute figure eminenti di carmelitane, quali la Beata Maria degli Angeli, Margherita Forni, Isabella Roero. Il monastero fu salvato per l’avvedutezza delle monache, l’aiuto delle autorità ecclesiastiche, soprattutto dell’Arcivescovo di Torino, e di tante persone buone che amavano il Carmelo; ma anche per uno speciale disegno della Provvidenza che ispirò il Re a intervenire, memore dei forti legami di amicizia intercorsi tra la sua famiglia e le «Carmelite» di Moncalieri fin dalla fondazione del monastero. In un promemoria inedito di Mons. Paolo Brusa, redatto mentre era ancora in vita il Re Umberto I, si legge che «il re Vittorio I, ritornato al trono, uno de’ suoi primi pensieri fu di comprare questo monastero, che era stato acquistato da un certo mastro Serralunga, e lo pagò 30.000 lire, tolte dal suo peculio particolare».

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