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«Mi farò carmelitana»

La chiamata
Ritornata a casa al principio di gennaio del 1675, ha il conforto di essere aiutata spiritualmente dal suo antico confessore, ma si trova più che mai condizionata dagli obblighi della sua condizione sociale.

Dopo la morte del marito la contessa Tana aveva dovuto sobbarcarsi la fatica dell’amministrazione del patrimonio familiare, ma, appena il figlio maggiore Giovanni Battista raggiunse l’età richiesta, lo incaricò della gestione del beni paterni, mentre a Marianna fu affidata la conduzione della casa. Sebbene giovanissima, rivelò subito eccezionali doti di governo: tatto, finezza e prudenza, qualità che contraddistingueranno in seguito il suo stile di governo quando, da monaca, diventerà priora nel monastero di S. Cristina.

Attenta e diligentissima nell’assolvere i suoi doveri, sentiva tuttavia più forte e insistente la chiamata alla vita religiosa, ma la mamma non ne voleva nemmeno sentir parlare e un certo giorno, mentre si trovavano sole nella loro casa di campagna, le propose un buon matrimonio. Marianna ne fu profondamente addolorata e le rispose che «questo parlare non era di madre che m’amasse, perché se mi avesse amata, non avrebbe parlato così, e che volevo corrispondere al Creatore e non alla creatura… e così la pregavo a non parlarmi più delle cose di questo mondo, ma solo di quelle del cielo, e si compiacesse di consolarmi con farmi religiosa».

Colpita dalla fermezza e dalla sofferenza che trasparivano dalle parole accorate della figlia, la contessa Tana concesse il sospirato consenso. Vennero subito avviate trattative con le Cistercensi di Saluzzo con le quali non fu difficile accordarsi per la dote. Tutto si appianò in breve tempo e fu fissata perfino la data per l’ingresso di Marianna in monastero.

Nel frattempo però un avvenimento fortuito orientò diversamente le scelte di Marianna, in coincidenza con l’ostensione della Santa Sindone.

«Un giorno «mia madre mi mandò a vederla. Trovandosi sull’istesso poggiolo un de’ nostri Padri”, mi chiamò (chiese) se volevo andar presso di lui che mi avrebbe parata dalla pioggia che veniva in abbondanza. Accettai l’offerta. Incominciai a salutarlo e ringraziarlo, ed altri complimenti del mondo. Mi cominciò a interrogare se volevo esser religiosa: io li risposi che la mia età mi permetteva ancora tempo per pensarvi. Ma non contento il buon Religioso di questa risposta, mi fece molte istanze, dicendo che ne avevo tutta l’aria. Mi lasciai convincere. Rispondo di sì. Mi disse: “Dove?”. “A Saluzzo “,- ma che il cuore non mi quietava, e temendo che diranno che non ho buona vocazione mentre non trovo convento che mi agusti (soddisfi). Ebbi più presto messo fuora questo che pensato – cosa ben contraria al mio naturale, essendo io molto ritenuta in dire le mie cose – , ma Dio lo permise per mio bene. Mi cominciò a dirmi: “E delle nostre si farebbe? Io li risposi: “Non le conosco”. Mi andò dichiarando la vita che facevano, e come andavano vestite di quel panno che lui aveva l’abito. Mentre mi andava raccontando della sua osservanza, mi sentivo andar crescendo il desiderio: in quel punto venne un’altra ramata (scroscio) di pioggia: questo buon Religioso mi pose la sua cappa su la testa. Oh Dio! Che effetto mi fece nel mio interno questa cappa: mi pareva d’esser sotto il manto della SS. Vergine. La supplicai che mi volesse accettare per sua figlia, che non mi negasse questa grazia. L’istessa petizione feci al santissimo Sudario, e con tanta tenerezza di cuore che quello non mi guastò la pioggia del cielo mi guastarono le lacrime degli occhi».

In questo grazioso quadretto, tracciato con vivezza di particolari, emergono da una parte il fine intuito psicologico dell’anziano frate, il P. Francesco Antonio di S. Andrea che cerca di avvicinare con un pretesto la giovane che l’ha colpito per il suo atteggiamento raccolto; dall’altra la prudenza tutta femminile e la reticenza di Marianna nel manifestare a uno sconosciuto i suoi segreti. La confessione del dubbio che la tormenta circa la sua scelta, le sfugge quasi suo malgrado, ma scioglie come per incanto quello stato di incertezza che segretamente la angustiava.

Accomiatandosi dall’anziano religioso Marianna lo ringrazia e si affida alle sue preghiere. Egli promette, ma non si accontenta solo di questo. Con buona grazia le chiede se «ha caro» che vada a trovarla a casa. Lei risponde che ne sarebbe felicissima e, appena giunta a casa, incomincia a «gridare ad alta voce: Io sarò carmelitana, mi farò carmelitana»! Il fratello Giovanni Battista, vedendola così eccitata – lei sempre così equilibrata e padrona di sé – esclama: «Questa figlia ha perduto il giudicio!».

Marianna invece sa quello che vuole e quella sera stessa scrive alle buone monache di Saluzzo ringraziandole cortesemente per la bontà sempre dimostrata nei suoi confronti e dichiarando che sarà carmelitana. E si firma: «Sor Maria, Carmelitana Scalza indegna!».

In famiglia si scatena una vera tempesta per questo repentino cambiamento di scena: «Mia madre… incominciò a gridare e dire che non li pensassi più, che non voleva in niun modo che abbracciassi tanta austerità», ma Marianna è fermissima nella sua decisione e invoca aiuto dal cielo per «un poco ammollire quel duro cuore di mia madre». Dopo varie resistenze, di mala voglia la contessa Tana la conduce al monastero di Santa Cristina, ma «come aveva poca voglia che venissi in questo convento» accampa mille difficoltà per la dote e non vuole cedere alle pretese delle monache. Mentre le trattative tra il monastero e la famiglia si protraggono, Marianna è mandata in campagna per divagarsi, nella speranza che cambi idea; ma, all’insaputa di tutti, un servitore fidato le porta segretamente notizie. Viene così a sapere che le carmelitane, stanche dei capricci della contessa, non ne vogliono più sapere di accettarla. «Non facevo altro che piangere, e in otto giorni che stettero così, credo non mangiassi un onsa” (oncia) di pane il giorno… Giorno e notte non facevo altro che esclamare a Nostro Signore che si degnasse a moversi a pietà della sua serva. Alla fine esaudì li miei sospiri». La Priora di S. Cristina infatti manda di nuovo a chiamare la mamma nella speranza di piegarla a più miti consigli… «Mio fratello li disse che li donassero quanto volevano, che non voleva più vedermi consumare in quella maniera». L’accordo finalmente fu raggiunto e il fratello corse in campagna a portarle la bella notizia: «Mi condusse seco a far colazione, rompendo il mio digiuno osservato però contro voglia».

Le difficoltà tuttavia non sono finite. Quando infatti è convocata dalla priora per essere presentata alla comunità il 14 ottobre 1676, la mamma adduce ancora tanti pretesti per la dote. «Mi condusse con la pioggia che veniva ben forte… Io entrai in chiesa a raccomandarmi a Nostro Signore… che mi volesse farmi vedere alle monache ben istante e li bracci ben grossi».

Quando il sospirato e temuto incontro con la comunità avvenne, le si «slargò il cuore» sentendo alcune religiose esclamare che non era poi così gracile come la contessa l’aveva presentata!

Adempiute nel frattempo le ultime formalità richieste per l’accettazione, «partii di casa il dì di Santa Elisabetta li 19 novembre, lasciando tutti di casa in pianto». Era il 19 novembre 1676. Marianna non aveva ancora compiuto sedici anni.

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