Elementi caratteristici della Regola
di P. A. PignaEssa comincia con il ricordare lo scopo fondamentale e l’ideale supremo di ogni forma di vita religiosa, cioè la sequela e il servizio del Signore Gesù. Tale ideale viene proposto non solo come motivazione e scopo supremo, ma come contenuto centrale, esclusivo e totalitario della vita. S. Teresa insisterà particolarmente sulla centralità di Cristo, ma con ciò non facendo altro che dare particolare risalto a ciò che « più volte e in vari modi i santi padri hanno stabilito». Per realizzare tale impegno la Regola, evidenzia, poi, alcuni valori da coltivare in modo particolare, e alcune norme di comportamento che ne favoriscono l’attuazione.
Tra i primi (i «valori») va ricordata la particolare attenzione da riservare alla parola di Dio e l’impegno a sostanziare di preghiera tutta l’esistenza. Il carmelitano occupa e riempie la vita « meditando giorno e notte le legge del Signore e vegliando in preghiera». Tutto ciò mette in evidenza un altro elemento centrale e caratteristico, cioè l’orientamento eminentemente teologale dell’esistenza. Mettere al primo posto e al centro di tutto Dio, impostare la vita a partire dall’assiduo e amoroso ascolto della sua parola, significa amare Dio con tutto il cuore, credere fermamente in Lui, attendere la salvezza solo da Lui, unico salvatore.
Ciò che caratterizza ancora la Regola (sintesi tra eremitismo e cenobitismo) è che la vita teologale, l’ascolto della Parola e la preghiera non vengono considerate come un qualcosa d’individuale e privato, ma valori inseriti in un contesto comunitario. Essi sono da vivere e sviluppare attraverso l’impegno solidale di tutti. D’altra parte, è proprio l’ascolto e la meditazione della Parola, la ricerca e l’incontro con il Signore che, a loro volta, offrono il fondamento e il luogo dove si costituisce la comunità. La Regola propone una forma di vita contemplativa che non ha niente a che vedere con la chiusura e l’isolamento, ma che avvia e porta alla comunione fraterna. Questo equilibrio tra solitudine e comunità sarà uno degli aspetti più esplicitamente ripresi dalla S. Madre la quale, pur proponendo una forma d’esistenza totalmente scandita dagli atti della vita comunitaria, ha sempre richiamato le sue figlie a vivere da «eremite», e a coltivare e difendere come la gemma più preziosa l’incontro a tu per tu con il Signore.
Queste caratteristiche che privilegiano così marcatamente la contemplazione, portano spontaneamente la mente e il cuore verso la Vergine dell’ascolto e dell’accoglienza: ecco perché la tradizione carmelitana è tutta soffusa di spirito mariano. Già i primi «eremiti» avevano dedicato la loro chiesetta alla Vergine e l’avevano scelta come patrona. Il Carmelo considera la Vergine come madre e regina, patrona e sorella, maestra e modello. Una tradizione vuole che la Regola stessa sia stata scritta in vista di una perfetta imitazione di Maria. Il che significa che la «forma di vita» della Vergine veniva proposta come norma di vita dei devoti anacoreti.
Lo scapolare, «abito di Maria», costituisce il segno che ricorda e fa sentire a chi lo riveste la tenerezza e l’interesse con cui ella assiste i suoi «fratelli» e li introduce nella intimità del Figlio. Teresa definisce i suoi monasteri «colombai della Vergine» e, in perfetta sintonia con la tradizione che considerava Maria «di casa» al Monte Carmelo, li riconosce come sua proprietà. Per la carmelitana, Maria è soprattutto maestra d’ascolto, accoglienza, contemplazione della Parola. Perfetta attuazione di consacrazione e di sequela, ella ne è anche maestra sublime ed esempio incomparabile. Guardare a lei e imitarla è la via più sicura per imparare ad amare, seguire e raggiungere l’intima comunione di vita con Gesù.
I valori spirituali appena accennati vengono, poi, dalla Regola salvaguardati e promossi attraverso un’organizzazione concreta che trova nella struttura stessa della casa, nell’obbedienza, nelle riunioni comunitarie e nel lavoro i suoi elementi portanti.
Si richiede innanzitutto un luogo solitario in cui costruire il convento che, con le sue mura, custodisca e favorisca la solitudine. All’interno del convento, poi, abbiamo la cella, che è come il sacrario più intimo dove ognuno si ritrova a tu per tu con il suo Signore. Non un rifugio in cui chiudersi ed estraniarsi, ma luogo privilegiato dell’incontro, simbolo ed espressione della più profonda intimità personale, dove il rapporto con Dio si realizza e si consuma. Il carmelitano deve prendere sul serio il « meditare giorno e notte la legge del Signore». È la prima occupazione del tempo, non degli avanzi del tempo. All’inizio d’ogni giornata egli sa che la preoccupazione fondamentale del giorno è di meditare la parola di Dio. Ogni altra iniziativa o interesse va messo all’interno di questa occupazione, la deve favorire e salvaguardare.
Tutto ciò comporta anche un particolare impegno ascetico e penitenziale che dona alla vita una nota d’austerità, da non confondersi in ogni caso con l’asprezza e la rigidità. La Regola tiene sapientemente presenti la «malattia», la «debolezza» o altra «giusta causa», mentre Teresa vi aggiungerà una particolare nota d’umanità, frutto della sua squisita femminilità. Questo, però, non significa diluire per nulla il totalitarismo di dedizione proprio della «sequela di Cristo» e il radicalismo ascetico di chi si propone d’avere come unico ideale della vita il raggiungimento della piena comunione con Dio. La Regola traduce e propone con totale fedeltà l’evangelico: « Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo », e la S. Madre ammonisce che « orazione e vita comoda non vanno d’accordo ».